Il giorno in cui dissi “mamma, papà, mettetevi comodi”

Il 1998 era l’anno di “Torn” di Natalie Imbruglia, “Believe” di Cher, “Ray of light” di Madonna. Era l’anno dei miei vent’anni e sentivo che i tempi erano sufficientemente maturi per il mio “coming out”. Ma non sapevo come dirlo e soprattutto a chi. Cosa avrebbe pensato mio fratello? E il mio migliore amico? E i miei compagni di università? Mi rivolgeranno ancora la parola? Mi prenderanno in giro?

Fu proprio l’università a presentarmi l’occasione che aspettavo: un mio caro amico e compagno di corso mi raccontò con estrema naturalezza di essere omosessuale. Solo poche settimane dopo riuscì finalmente a farmi confessare di essere, io stesso, gay. Ero terrorizzato e pentito, ma fu un’esperienza elettrizzante. Ricordate come vi sentivate la notte del 9 Luglio del 2006 dopo il rigore di Fabio Grosso? Ecco, mi sentivo esattamente così: per diversi mesi mi svegliavo al mattino e mi ripetevo quanto fosse bello non vivere più al buio e quanto fosse entusiasmante essere gay. Non sapevo perché d’un tratto mi piacesse essere gay. Forse perché per vent’anni mi ero finto eterosessuale o forse perché mi sentivo parte di una élite che ancora non conoscevo, ma qualunque fosse la ragione ero finalmente fiero di ciò che ero. Stavo bene e il resto non contava.

Ma presto cominciò a non bastarmi e decisi di aprirmi anche al mio migliore amico; solo due settimane dopo lo dissi a mio fratello, poi, a ruota, ad altri amici ben selezionati. Ma di una cosa ero sicuro: mai e poi mai l’avrei detto ai miei genitori. Certezza granitica che venne meno l’autunno di quello stesso anno: “Flavio” dissi a mio fratello “voglio dirlo a mamma e papà”. “Tu sei pazzo” mi rispose. Ma ero ben deciso a proseguire per la mia strada anche senza la benedizione del mio fratello maggiore. Il quale, sfinito, infine acconsentì a patto che questa mia “follia” avesse luogo durante le vacanze di Natale, periodo in cui lui sarebbe stato “in salvo” a Milano per le feste di fine anno. Ricorrenze che io invece trascorsi a Vallecrosia, con i miei genitori.

E arrivò il 30 Dicembre 1998 (dimentichereste una data del genere?). Dopo cena, nella tranquilla cittadina ponentina, dissi, con voce tremante: “mamma, papà, sedetevi, mettetevi comodi, devo dirvi qualcosa”. Stupiti e forse infastiditi dal mio strano comportamento acconsentirono e si sedettero. Continuai: “mi piacciono gli uomini”. Fu terribile, non volli usare la parola “gay” e dissi una frase sciocca, ma senz’altro chiara ed efficace. Mia madre finse un sorriso e, incredula, mi chiese più informazioni. Mio padre, dal quale mi aspettavo di essere cacciato di casa, mi disse che non gli interessava con chi andavo a letto. Non fu granché come risposta, ma fu un inizio. Da quel giorno cominciammo a conoscerci tutti e tre per davvero e la strada fu in discesa. Credo che oggi anche qualcun altro a Vallecrosia sospetti che io sia gay.

Marco Antei