Perché le unioni civili non sono abbastanza

Poco più di un anno fa l’Italia ha approvato, con immenso ritardo rispetto ai vicini europei, una legge che permette alle persone omosessuali di unirsi civilmente.

In un millennio in cui le grandi democrazie del mondo occidentale hanno, una dopo l’altra, esteso il matrimonio anche alle coppie omosessuali, l’Italia ha ottenuto con immensa fatica una legge sulle unioni civili nata già vecchia. Per renderci conto del ritardo italiano basti pensare che le prime unioni civili al mondo sono state istituite in Danimarca nel lontano 1989, mentre il primo matrimonio omosessuale è stato celebrato nei Paesi Bassi nel 2001. Una legge ad hoc per le unioni tra persone dello stesso sesso ricorda tanto l’Apartheid sudafricana in cui esistevano scuole per bianchi e scuole per neri (con programmi diversificati), autobus più belli per i bianchi e autobus malandati per i neri.

Allo stesso modo in Italia abbiamo una legge (il matrimonio) per gli eterosessuali e una legge diversa più “malandata” (le unioni civili) per gli omosessuali. Viene così a mancare il principio fondamentale di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione. E a proposito di Costituzione è bene ricordare che se il matrimonio è regolato dall’articolo 29, le unioni civili si ispirano all’articolo 2.

La differenza di non poco conto è che chi ha accesso al matrimonio in Italia è considerato una famiglia, mentre chi si unisce civilmente è una “formazione sociale” (al pari dell’ “associazione amanti del rubamazzetto”). Eppure l’articolo 29 in nessun punto afferma che il matrimonio sia ad uso esclusivo delle coppie eterosessuali, ma che spetta al legislatore stabilire chi possa unirsi in matrimonio (che non significa solo eterosessuali o omosessuali, ma anche Italiani o stranieri, Europei e non, …).

Tra le gravi carenze di questa legge non possiamo dimenticare la mancanza della cosiddetta stepchild adoption: bambini vissuti per anni con la madre biologica e la sua compagna non sono considerati figli di quest’ultima. Qualora la madre biologica dovesse venire a mancare i bambini rischierebbero di essere separati (dalla legge italiana!) anche dalla compagna della madre biologica, “mamma di fatto” dei bambini in questione.

Assurdo che gli oppositori alla stepchild adoption siano soprattutto coloro che affermano di porre in cima alle loro attenzioni il bene ultimo dei bambini. Future donne e futuri uomini che continueranno a crescere con la falsa consapevolezza che omosessuali ed eterosessuali sono diversi, perché solo a questi ultimi è permesso di unirsi in matrimonio, mentre agli omosessuali non resta che accontentarsi. Così facendo la legge italiana alimenta la piaga dell’omofobia, fenomeno già dilagante su tutta la penisola e che trova le sue fondamenta nel codice civile italiano. Chissà, a proposito, se entro la fine di questa legislatura i nostri governanti avranno il coraggio di rispolverare quella legge sulla omo-transfobia che da anni giace in parlamento.

 

Marco Antei