Mondiali, banane e la rivincita delle quattro lesbiche

Nell’ormai lontano luglio 2014, pochi giorni prima della sua elezione a presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), Carlo Tavecchio parlando della presenza degli extracomunitari nel calcio italiano disse che molti di questi calciatori prima mangiavano banane e ora giocano nel nostro campionato. Fummo in molti allora (tifosi, calciofili, simpatizzanti o antipatizzanti) a ritenere che una persona di quel livello non potesse neanche permettersi di sognare di diventare presidente della FIGC.

E invece solo pochi giorni dopo arrivò la sua elezione e parve essere un duro colpo per la lotta contro il razzismo nel mondo del calcio. Il colpo di grazia arrivò circa un anno dopo, quando l’allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti Felice Belloli si lamentò perché, a suo dire, non si faceva altro che parlare di dare soldi alle quattro lesbiche del calcio femminile. Molti giornali all’epoca parlarono di insulti sessisti, come se definire una donna “lesbica” fosse un insulto. In realtà si trattò di un insulto omofobico che parte della stampa non riconobbe come tale: usare parole come “lesbica, omosessuale, finocchio” per insultare una persona non è lesivo per la persona insultata.

È, anzi, lesivo per la categoria che questi epiteti rappresentano, ossia, in questo caso, le persone omosessuali. Provo a fare un altro esempio: se qualcuno mi dicesse “sei un handicappato” con l’intento di ferirmi, non insulterebbe me, perché non è offensivo essere paragonati ad una persona invalida, offenderebbe semmai tutte le persone diversamente abili, perché la loro disabilità in questo contesto sarebbe usata come esempio di qualcosa di estremamente negativo.

E se a dire che le donne nel calcio “sono handicappate” è ancora Tavecchio è chiaro che ai vertici del calcio italiano qualcosa non ha funzionato. Ed è altresì evidente che le prese di posizione di Tavecchio, dovute, contro le succitate affermazioni di Belloli siano certamente apprezzate, ma poco credibili. Sono già lontani e dimenticati i tempi in cui Cesare Prandelli aderì alla campagna “allacciamoli”, tempi in cui molti giocatori scesero in campo con i lacci arcobaleno per “dare un calcio all’omofobia”.

Che fine hanno poi fatto quelle quattro lesbiche delle calciatrici italiane? Innanzitutto immaginiamo che molte di loro, per meri calcoli statistici, siano eterosessuali. Inoltre se diamo un’occhiata al torneo di qualificazione per i mondiali di calcio femminile scopriamo che le nostre connazionali sono prime, a pari merito con il Belgio. Uno a zero palla al centro.

 

Marco Antei