Intervista a Samantha, transgender di Loano

Alcuni giorni fa Beppe Grillo, nostro celebre corregionale, ha definito le persone transgender come “donne con il pisello”. L’espressione ha suscitato parecchia indignazione all’interno della comunità transgender italiana. Innanzitutto Grillo sembra aver dimenticato che esistono anche transgender di sesso biologico femminile ma di identità di genere maschile. Abbiamo chiesto a Samantha, transgender di Loano, cosa ne pensa:

Mio padre, che era un cacciatore incallito, avrebbe risposto (in dialetto ligure) “… u peccetto nu merita a botta”. Tradotto: Chi l’ha detto, non merita risposta.

E invece come vorresti che si definisse una persona transgender?

Semplicemente chi non soggiace al classico schema dicotomico dei due generi dominanti, non si identifica in essi.

Preferisci che ci si riferisca a te come una “lei” o come un “lui”? Insomma sei “bella” o sei “bello”?

Nel mio caso: “come una Lei”. Senza alcun dubbio.

Essendo il sesso mentale quello che prevale su quello fisico e riconoscendomi nell’assioma “maschio a femmina” (M2F, in breve, nda).

Vorrei aggiungere che quando mi si declina al maschile, non mi sento riconosciuta per quello che sono.

Quindi riassumendo: il tuo sesso biologico è maschile, la tua identità di genere è femminile. Significa che sei attratta dagli uomini?

L’attrazione o orientamento sessuale è indipendente dal proprio genere. Esistono trans che provano attrazione per gli uomini e, come nel mio caso, per donne.

Ti senti malata, in quanto transgender?

La definizione di malattia sottintende una anormale condizione psico-fisica. Non vi sono i presupposti nemmeno teorici per ritenerla tale.

Non sono né mi sento di esserlo. E’ semplicemente una “feature”, un tratto distintivo dell’essere umano.

Allora perché in psichiatria si parla di “disforia di genere” o “disturbo di identità di genere” come se fosse una malattia?

Oggi non è più così. Non è più considerata una malattia mentale né una parafilia. Già nel DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, nda) è stata cambiata la denominazione in “disforia di genere”. Ancor più nel DSM V. Viene considerato disturbo solo e se, si presenta sul piano delle difficoltà di realizzazione personale e non come presupposto intrinseco dello stato di sè.

Anche se a onor del vero, sarà ancor necessario, a mio giudizio, rivedere tale espressione. Ma qui si innesta la problematica della cosidetta “cura”.

E’ necessario a livello medico diagnosticare una alterazione per giustificare un possibile intervento psichiatrico.

E’ comunque singolare valutare che per affrontare una questione mentale si intervenga con farmaci che hanno come obiettivo primario la modifica del fisico.

Questo dovrebbe chiarire, una volta per tutte, la vera natura della questione.

Infatti di recente Danimarca e Svezia sono andate oltre e hanno rimosso la transessualità dalla lista delle malattie mentali. A che punto siamo in Italia?

L’Italia, in questo senso, necessità ancora di prendere consapevolezza del fenomeno, ancor prima a livello teorico, in modo limpido ed esaustivo. Ancor peggio è la situazione, nella concretezza del vivere quotidiano, nell’attuazione pratica di tale espressione.

Manca totalmente un quadro normativo che ne definisca i diritti e le competenze, al pari di ogni cittadino.