Lunedì i banchi e i suoni della campanella torneranno a occupare: “… una fascia compresa tra il 70 e il 100%” delle giornate educative degli studenti delle classi superiori imperiesi, la totalità per quelli di elementari e medie.

Questa l’ultima regola stilata da un Governo da tapiro d’oro sul tema. Pronto a fare all in: “Il primo luogo dove decidiamo di investire è la scuola” parola del ministro alla Sanità Roberto Speranza, quasi questa pandemia fosse diventata un gioco a premi, poi in poche ore piegato, anche se non totalmente, dalle regioni sulla spinta dei presidi giustamente restii a rimettere a rischio loro e i propri ragazzi.

Già perché i governi passano, ma i problemi della scuola sembrano rimanere i medesimi.

Da base della vita di tutti noi, probabilmente unica cosa che ci accomuna perché chi più chi meno, tutti l’abbiamo frequentata, la scuola si è trovata fragile come non mai. In balia di promesse, raramente mantenute: dai banchi a rotelle, ai presidi medici, dall’ipotesi tamponi all’ultima dei test salivari, che non avrebbero comunque potuto risolvere il problema che è sito, virologi permettendo, in altri lidi o limbi per meglio dire.

Da un lato quello del trasporto con mezzi, pochi, spesso vetusti che nonostante lo sforzo della ballerina azienda locale, conti alla mano, e dell’ente Regione nella nostra provincia non sono in grado di sopportare, come quasi in tutta Italia, una pandemia e le sue regole. Il 100%, come detto a più riprese da tanti politici nostrani, porterebbe il già precario sistema trasporti scolastico al collasso con l’insostenibilità della nota capienza al 50%.

Altro nodo è quello delle strutture. In provincia di Imperia sono innumerevoli i problemi agli istituti scolastici. Dai soffitti pericolanti al freddo nelle aule, troppo spesso piccole e poco funzionali. A questo si aggiunge l’atavico sovrannumero nelle classi. Per comprendere la necessità di investire sul personale scolastico non sarebbe, probabilmente, dovuta servire una pandemia. Da anni il mondo scuola sa che classi più snelle gioverebbero al lavoro degli insegnanti da un lato, ma soprattutto alla preparazione e all’istruzione dei ragazzi dall’altro.

E la didattica a distanza? Un palliativo, evidentemente, che le povere scuole hanno dovuto scoprire, osservare, comprendere e talvolta anche apprezzare da sole con uno Stato distante e lento nel consentire a tutti il sacro diritto allo studio.

Capitolo a parte va poi scritto sulla comunicazione relativa alle scuole un po’ come termometro per comprendere il contagio, un po’ come presunto fulcro di esso. Buone solo per le elezioni come seggi, volano per poltrone.

Troppo facile, direte giustamente voi lettori, elencare problemi davanti a una tastiera. Le soluzioni non sono dietro l’angolo, pronte a essere colte, è palese. C’è tanto, tantissimo, troppo da fare. In tutto questo, però, abbiamo abbondantemente passato l’anno di covid-19. Abbiamo visto scuole chiudere e riaprire, fermarsi e ripartire, in presenza, in dad, in isolamento, in quarantena e poco è cambiato se non grazie alle scuole stesse e alle loro organizzazioni interne.

Concludiamo l’anno con i cerotti, ma sfruttiamo l’estate per rendere la nostra base una base solida di crescita, confronto, educazione di tutti noi. I mesi persi o vissuti a metà da migliaia di studenti sono una piaga di cui soltanto il tempo dirà la gravità, non allarghiamola e non lasciamo la candela ai soli dirigenti scolastici.

Puntiamo settembre come inizio di ripartenza vera non a parole perché, per concludere con un classico leggibile su tanti cartelloni di studenti in protesta: senza scuola non c’è futuro, per davvero.

Un ex studente che non ha mai smesso di studiare.