L’allevamento bovino in Italia, secondo i dati Istat aggiornati a dicembre 2018, ammonta a poco meno di 6 milioni capi, di cui 17 mila presenti nel territorio ligure. La Liguria si distingue dal resto del territorio italiano per un’alta percentuale di questi allevamenti a carattere biologico, 21% degli allevamenti in Liguria rispetto al 13% della media nazionale. Sicuramente anche i nostri allevatori conosceranno le problematiche e i fastidi connessi a mosche e tafani: insetti onnipresenti principalmente nei luoghi di allevamento, sia stalle sia pascoli.

Questi insetti non sono solo fastidiosi per l’uomo, ma nell’industria dell’allevamento sono ad oggi considerati dei veri e propri parassiti.

I danni nel settore zootecnico legati a punture di mosche e tafani sono molteplici e vanno da semplici disagi e malesseri causati agli animali fino a vere e proprie trasmissioni di agenti patogeni. Allevatori hanno notato che anche in animali sani, la sola presenza di mosche e tafani innervosisce l’animale portando a una diminuzione della crescita dell’animale stesso, diminuzione della produzione di latte e un aumento di infortuni. Sono state stimate perdite di peso che vanno dai 6 ai 26 kg per animale all’anno e perdite in produzione di latte pari a 139 kg per ogni mucca all’anno. Insieme, questi danni ammontano a perdite di circa 2,000 milioni di dollari annui solo negli Stati Uniti, un valore a dir poco sbalorditivo.

La lotta a questi insetti è particolarmente ardua. Gli insetticidi in commercio non sono particolarmente efficaci e spingono gli insetti stessi a creare resistenza (solo le mosche che sopravvivono all’insetticida si riproducono e con il tempo questo crea una popolazione di mosche resistenti a quell’ insetticida). Le barriere fisiche, anche se non afflitte dagli stessi problemi degli insetticidi, non possono essere utilizzate nei pascoli.

Come fare quindi a combattere mosche e tafani, e ancor meglio, come farlo in modo biologico?

Un’interessante risposta è stata trovata da un team giapponese del centro di ricerca per l’agricoltura Aichi e dell’università di Kyoto. I ricercatori hanno testato su bovini quello che si crede sia alla base del perché le zebre abbiano sviluppato, nel corso dell’evoluzione, il tipico mantello striato. Studi pubblicati sull’argomento hanno mostrato come uno dei più probabili fattori che ha selezionato il manto striato sia quello di confondere insetti come tafani e altre mosche come l’insidiosa tse-tse. Le caratteristiche striature sembrano essere infatti sgradite a questi insetti, i quali evitano di posarsi su superfici striate e di pungere animali dal medesimo mantello.

Il team giapponese ha quindi proposto un semplice ma efficace esperimento: dipingere il mantello di mucche a strisce bianche e nere e capire se vi è una diminuzione di punture ed una diminuzione di tutti quei comportamenti anti-mosche tipici dei bovini (come agitare la coda, scuotere la testa e sbattere gli zoccoli). Le striature bianche e nere sono state dipinte con vernici non tossiche a base acquosa a mano libera, richiedendo approssimativamente 5 minuti per capo. Il numero di punture da mosche e i comportamenti anti-mosche sono stati registrati e confrontanti con i dati di mucche non dipinte.

L’esperimento, anche se testato su un numero molto limitato di animali (sei in totale), ha mostrato una incredibile riduzione del 50% di punture di mosche e tafani ed una riduzione dei principali comportamenti anti-mosca degli animali.  

Durante la prossima stagione estiva, dove l’attività di mosche e tafani è al suo massimo, il team giapponese suggerisce quindi di adottare questa tecnica al posto dell’uso di insetticidi, in quanto economica e non dannosa per l’ambiente o gli animali stessi.

Se siete allevatori interessati ad adottare questa strategia e siete interessati a controllarne l’efficacia, contattate la Dott.ssa Baldi attraverso la nostra redazione per ulteriori informazioni.


Benedetta Frida Baldi dopo aver conseguito la laurea in Biotecnologie Farmaceutiche all’università di Modena e Reggio Emilia ha ottenuto un PhD in Neuroscienze Computazionali dall’università di Cambridge (UK) e successivamente si è specializzata in Visualizzazione Dati all’istituto Garvan di Sydney (Australia) per la ricerca medica. Motivata dal desiderio di condividere la sua passione per la ricerca scientifica, ora tornata in Italia, ha iniziato una collaborazione con la nostra redazione.  

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