luciano zarbano

Di quanto sta accadendo al colonnello dei carabinieri Luciano Zarbano, sino a ieri candidato in pompa magna di Fratelli d’Italia a sindaco di Imperia, capoluogo di provincia alle prossime elezioni comunali del 14 e 15 maggio, scriverò poco. Se son vere le voci che arrivano da Roma sapete quasi tutto. Basta una parola: scandaloso. Conoscete il motto dell’Arma dei carabinieri? “Usi obbedir tacendo e tacendo morir”. Frase scritta da Costantino Nigra, letterato, poeta, politico piemontese, nato a Villa Castelnuovo (To) l’11 giugno 1828 e morto a Rapallo il 1 luglio 1907 nel suo poema “La Rassegna di Novara”. Se non bastasse l’Arma ne ha anche un’altro: “Nei secoli fedele”. Non sono solo belle parole, rappresentano le radici, la storia, l’anima, il sangue, lo spirito dei carabinieri. Nei secoli fedeli. Esistono le prove che è così, che è la verità, senza nulla togliere a tutte le altre forze dell’ordine. Quello che sta accadendo al colonnello Zarbano, ripeto, se fosse vero questa volta sarebbe doveroso, obbligatorio, sapere, fare piena luce su quanto accaduto. Se ci sono colpevoli, mandanti o si tratti di invenzioni, maldicenze. Se qualcuno ha sbagliato deve pagare, uomo, donna, giovane, anziano, ricco, potente. Basta intoccabili, basta lanciare il pallone in tribuna. Il passare del tempo, degli anni, fa dimenticare e chi ha amici in smoking o con toghe alla fine non paga mai. Anzi fa carriera. 

L’istituzione, l’Arma dei carabinieri non si tocca. Sono figlio di un carabiniere. Mio padre ha fatto la guerra con la divisa, ha prestato servizio in Liguria ed in comuni della Toscana, dove è nato mio nonno paterno, occupati dai tedeschi e dove la violenza SS. e traditori hanno fatto stragi. Ha servito fedelmente lo Stato. Gli ultimi anni della sua vita li ha passati a Genova, al comando allora dei CC. al Castello Mackenzie, in collina, davanti al porto. Il suo cuore però non ha retto, è morto all’ospedale di Bussana. Prima del funerale il suo comandante, insieme a colleghi, gli consegnarono per suoi servigi allo Stato italiano la Croce di Cavaliere. Io non avevo ancora 13 anni, le mie due sorelle poco più grandi di me.

Da ore sui social non si legge che improperi, disgusto, delusione, voglia una volta per tutte, di legalità, trasparenza verso il mondo sempre più opaco delle pubbliche amministrazioni, delle elezioni, dei candidati, dei partiti. Di chi comanda, di chi ubbidisce, di chi intriga, di chi diventa complice, sui telefonini, a torto o a ragione si allude (anche pesantemente) a tizio, caio, sempronio. Si legge di tutto: “che schifo”, “portorini ed imperiesi trattati come sudditi”, “papaveri romani e complicità di Genova sempre matrigna”, “che squallore”, “che imbarazzo vivere in una città come la nostra dove registriamo queste cose, questi malefatti”, “con che faccia oggi si appoggia uno e domani un altro”, “basta inciuci, rapporti clientelari” e via cantando. Una brutta, brutta, brutta pagina. Si predica un cambiamento che non arriva mai.

Quanto sta accadendo in tutta la Riviera dei Fiori mi ricorda quando in collegio dei Salesiani al ginnasio e al liceo si leggevano e discutevamo de “I Sepolcri” di Ugo Foscolo. Soprattutto di “amorosi sensi”. Don Colombara, il nostro insegnante, ci spiegava che si tratta di “qualcosa di divino” eccezionale che in qualche modo rende l’uomo simile ad un dio. In un certo senso, uomo o donna che sia, illusoriamente accarezzano l’idea, che si trasforma quasi in convinzione, che sia loro possibile sconfiggere la morte. Applicando questa allucinazione alle campagne elettorali la morte rappresenta la sconfitta elettorale. Come si batte la morte così si batte la sconfitta alle urne, si vince, si diventa sindaco, poi presidente della Provincia, della Regione, presidente del Consiglio. E perché no, Presidente della Repubblica. Si diventa divinità. Tutto è lecito, permesso. Tutti applaudono. Ad Imperia i protagonisti di questa pessima, se vera, “telenovela italiana”, i loro nomi e cognomi, locali, romani, del sud e del nord li pronunciano tutti ad ogni angolo di strada. Hanno ragione o torto? Fantasie o verità? Stamani si dovrebbe sapere: fanno impressione le parole pronunciate anni fa da Rosy Bindi quand’era in Commissione antimafia sosteneva, in sintesi, che Imperia, in quanto illegalità, è la succursale della Calabria. Esagerava? Una cosa è certa, nessuno è perfetto, ma se gettiamo nel fango anche l’Arma dei carabinieri, se umiliamo chi porta la divisa per l’Italia non c’è più speranza. Ci sentiamo orgogliosamente italiani quando sentiamo l’inno di Mameli, quando sventola il tricolore, quando vediamo un carabiniere. Presidente Meloni, brogli, non brogli, fantasie, chiacchere, ci dica tutta la verità.