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Per la tua storia che nasce sotto l’ombrellone” cantava Renato Zero nel ’91 ma la Corte di Giustizia dell’Unione Europea non si fa prendere da romanticismi e decide che le concessioni demaniali non possono essere rinnovate automaticamente. Così tremano i titolari dei 6.823 stabilimenti balneari, preoccupati dal rischio di vedere persa la propria attività dal 2024.

L’Europa ha ribadito il suo ‘No al rinnovo automatico delle concessioni’ con la sentenza dello scorso 20 aprile, facente seguito al Consiglio di Stato che, il primo marzo, aveva affermato l’illegittimità della proroga automatica, compresa nel decreto Milleproroghe, poi convertito in legge e proposto dall’attuale governo. E che sostanzialmente prolungava la situazione attuale per tutto il 2024.

Milleproroghe che aveva ricevuto il fermo ammonimento del Presidente della Repubblica: alla controfirma dell’atto Mattarella ha allegato una dura nota chiedendo alle Camere di riscrivere il capitolo sulla concessione delle spiagge, in ottemperanza alle leggi comunitarie ed ai verdetti della magistratura, dopo che più volte l’UE aveva tirato l’Italia per la giacchetta.

Insomma, sarà una bella matassa politica da sbrogliare che avrà un profilo nazionale ma si rifletterà, e non poco per il nostro territorio, anche sul locale. E sono proprio i gestori e le associazioni di categoria a chiedere una sprone alla politica.

La questione è stata rimessa dal TAR Puglia in relazione a una controversia tra l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e un Comune, che aveva prorogato le concessioni balneari sul proprio territorio sulla base della legge di bilancio 2019, di fatto aggirando la “Direttiva Bolkestein”.
L’UE afferma che le concessioni balneari non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente. E prosegue inoltre che va avviata, dagli Stati membri, una procedura di selezione tra i candidati potenziali qualora il numero di autorizzazioni disponibili, per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali.

Proprio questo ultimo punto lascerebbe spazio a titolari ed associazioni di categoria che chiedono una accelerata per la mappatura delle spiagge sul territorio che specificherebbe l’effettiva disponibilità delle spiagge libere evidenziando come il litorale non sia un bene scarso e dunque non necessiterebbe della ‘Bolkestein’. Portando alla luce i lavori e la cura prestati sui litorali.

Ciò detto, la Corte dei Conti aveva portato alla luce una ‘gestione inefficiente’ dei canoni marittimi sul piano nazionale nel 2021. Ed allo stesso tempo recriminava la mancanza di una precisa mappatura con relativa trasmissione dei dati. L’anno successivo, secondo il Corriere della Sera, l’intero settore ha fatturato 31,9 miliardi di euro ma l’‘affitto dei litorali’ allo Stato ha generato appena 115 milioni di gettito. Davvero pochi in relazione al paragone con il Comune di Milano che, annualmente, incassa 60 milioni dalle sole attività in galleria Vittorio Emanuele, del quale è proprietario. Per citare l’esempio riportato dal Corriere.

I numeri del MEF parlano di 29.689 concessioni demaniali marittime e 6.823 stabilimenti balneari, e facendo un rapido calcolo ogni concessione non passerebbe i quattro mila euro di canone annuo. A questi chiaramente vanno sommate le spese che ogni singolo titolare deve affrontare come una IVA piuttosto elevate così come è la tassa sui rifiuti o la continua pulizia delle spiagge (solo per citarne alcune).

L’Unione Europea esige dall’Italia un giro di vite sulla privatizzazione delle spiagge: l’estate 2023, per il momento, è salva. Ma lo scenario del futuro è tutto da scrivere.