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L’ultimo Decreto del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, colpisce ancora una volta, in modo particolare, i Pubblici esercizi e segnatamente bar, ristoranti e pizzerie, oltre naturalmente ad altri esercizi commerciali sempre del settore food. Una situazione sempre più pesante dal punto di vista economico, che ha già generato momenti di tensione sociale. Da qui la necessità urgente di concreti interventi di sostegno economico.

Sottolinea Enrico Calvi, presidente provinciale Fipe Confcommercio: “Segnali di tensione sociale son già avvertibili. Il nostro comparto è sempre stato pronto ad assumersi le proprie responsabile si è attrezzato per accogliere clienti in sicurezza nel rispetto di quello che è un’emergenza sanitaria, ma ora assistiamo al controsenso di chiudere i nostri locali e vedere i mezzi di trasporto congestionati. Il privato ha saputo attrezzarsi meglio di quanto abbia saputo fare il settore pubblico che non ha mostrato grandi strategie. E ora a pagarne le spese è sempre un settore già in difficoltà. Non vorremmo che nel conteggio delle vittime del Covid dovessero entrare anche quelle di un’emergenza economica sempre più grave. Lo scoramento dei colleghi è ormai tangibile e le misure di ristoro che dovrebbero uscire, rischiano di essere ben poca cosa rispetto allo tsunami che si sta abbattendo su circa 250 mila imprese in Italia”.

Dice Andrea Di Baldassarre, presidente Confcommercio Sanremo e membro Consiglio provinciale Fipe: “Situazione drammatica con aziende in una situazione fallimentare. Nonostante parentesi positiva per l’estate, ma a fine anno mancheranno oltre due mesi di bilancio. Dobbiamo ragionare su aiuti che devono arrivare da governo, che devono essere immediati. Le parole non bastano. Ci vogliono atti concreti, anche per la stessa credibilità del governo. Deve esserci anche una visione del futuro, perché stiamo parlando non soltanto di aziende che chiudono, ma anche di migliaia di persone in provincia di Imperia che non avranno più lavoro. Tutto questo in un territorio che ha fatto la storia del turismo e che rischia di essere conquistato da grandi catene sia ne food che nello shopping”.

Dario Trucchi, presidente Confcommercio di Ventimiglia sottolinea: “La situazione non aiuta la nostra categoria, già chiamata a marzo a notevoli sacrifici e oggi, nonostante investimenti e impegno per mettere in atto misure di sicurezza, è di nuovo penalizzata dalla chiusura imposta alle 18. Se questo può essere un aiuto per far abbassare incidenza del virus, non si discute. La salute pubblica è sopra ogni altra cosa, ma bisogna che arrivino aiuti concreti per concederci di arrivare alla fine dell’anno. Resta perplessità per il fatto che chiudere i ristoranti alle 18 non vuol dire che la gente non possa circolare e creare assembramenti, molto più di quanto poteva accadere nei locali, dove i controlli erano e sono garantiti. Ventimiglia, oltre al dramma Covid, ha dovuto fare i conti con un’alluvione che ha devastato moltissime attività. È necessario che lo Stato prenda atto di questa situazione. Il timore è anche ce questa ulteriore restrizione possa non bastare e a questo punto salterebbe anche il Natale, con un ulteriore e disastroso contraccolpo, insopportabile per le nostre casse”.

Per Romolo Giordano, associato Fipe e membro del Direttivo Confcommercio di Bordighera, “la chiusura la sera è un danno pesante. Meglio sarebbe stato un limite alle 23”. Prosegue Giordano: “Mi auguro sia mirata per lo meno a vincere la sfida con il virus e che non sia soltanto il primo avvio di un qualcosa di peggio e definitivo. Io ho 12 dipendenti e per me il servizio di ristorazione la sera è molto importante. Vedremo anche che tipo di aiuti potranno arrivare. Come sempre ci dobbiamo adeguare, ma bisogna che chi governa si renda conto dell’impatto economico di questi provvedimenti su di una categoria già duramente provata in questo senso”.

Luca Pollano, associato Fipe di Diano Marina dice: “Noi oggi abbiamo deciso di chiudere i nostri locali, sia a Diano Marina, che a San Bartolomeo al Mare. Per come siamo strutturati, per noi non è sostenibile lavorare soltanto a pranzo. Senza contare che molti dipendenti pubblici sono in smart working e quindi anche il giro del “pranzo di lavoro”, in generale, è notevolmente ridotto. Da noi ancora di più, in quanto operiamo in località nelle quali si lavora molto più la sera. Ritengo che non avrebbero dovuto fare di ogni erba un fascio e dividere, semmai, provvedimenti restrittivi in base a situazione ricoveri. Questa riduzione di orario non è altro che un lockdown mascherato”.

Antonio Galante, associato Fipe dell’entroterra sottolinea: “L’entroterra nasce già maggiormente penalizzato, a partire dal bacino di utenza ridotto rispetto a quello costiero e soprattutto in inverno i locali aprono per lo più soltanto la sera e la domenica a pranzo. Qui da noi non ci sono grosse ditte e operai che approfittano dei locali per un pranzo a costo ridotto. Anche i bar dei paesi più grandi, come possono essere Pieve di Teco, Nava, Dolceacqua, vivono per qualche aperitivo la sera. Con questo provvedimento si mette tutta la categoria in ginocchio, a meno che non vi siano sostegni economici concreti. Abbiamo già saltato le feste pasquali e le sagre e manifestazioni estive e ora, se dovessimo perdere anche il Natale, rischiamo veramente il tracollo di molte realtà economiche di un territorio già povero. Molti per il mese di novembre hanno deciso di chiudere, sperando di poter lavorare a dicembre. Per noi dell’entroterra infatti chiudere alle 18 vuol dire essere in lockdown completo”.