Apricale guarda la sua vallecola del Merdanzo come “villaggio appeso”. È il nodo viabilistico intervallivo della media Val Nervia. Un grumo di case, cospicuo, solatio, un concentrato di liguritudine e di sapienze antiche, ancestrali. E di fatale resistenza agli elementi. E quando ad Apricale vogliono divertisti giocano alla pallapugno.

Il gioco del pallone è parte della categoria dello spirito locale. E si è reso possibile in condizioni impossibili. Quello che altrove è uno sport per superatleti su 90 metri per 14 di campo, qui, tre contro tre, è un capolavoro di astuzie, pensieri, ingegni, tecnica, potenza, velocità, esperienza. Si gioca su due livelli. Si cerca di mantenere la battuta. Si dispiegano i giocatori in modo da evitare le trappole di un sistema di gioco infido, dove un gradino conta “volo” e un caruggio conta a seconda di dove passa la palla. E bisogna uscire da quel maledetto passo inferiore al castello. Oh, come bisogna uscirne. E qui, come ogni anno, locali e i sempre più numerosi turisti, ergo viaggiatori, veri, che scoprono il mondo reale delle Alpi liguri e marittime, si godono il torneo di pallapugno.

Intervengono i grandi: i campioni, i primi della classe, i giocatori esperti con millenni di serie A e B sulle spalle, i giovani di belle speranze, gli arditi. Si gioca in settimana, di giorno, con spicchi di sole e calure sulla piazza, il refrigerio dell’acqua corrente della fontana, dove si corre di continuo per trovare ristoro. Lo spogliatoio in Comune. Nel senso che oltre a cambiarsi tutti insieme, si è proprio nel palazzo pubblico. E qui non manca la pisciadèla, il vino del posto, un bicchiere di Rossese, magari. Tanto, caldo fuori e caldo dentro. Dopo battaglie e battaglie, il 25 luglio è l’ora della verità. La finale è inedita: il sempiterno Paolo Voglino: un mostro sacro della pallapugno, innamorato della Liguria, ma ancora in piena attività e ricercato per le sue doti tecniche, l’atletismo, l’esperienza. L’uomo da battere, anche ad Apricale. Qui con il figlio Alessandro e con Giordano: il prezioso terzino in piazza, quello che può salvarti la partita se ti porta in battuta.

Di fronte un trio che in Liguria conoscono bene: Giovanni Ranoisio, mille soprannomi, sempre andato oltre: dal “carassa” giovanile, al “Long John” degli anni di Vendone. Ora è un centrale apprezzato, uomo da ogni categoria e dalle mille testardaggini silenti. Assieme ai compagni di sempre, il fedele ed elastico Claudio Somà e il di lui fratello, Davide, che incarna il raziocinio, anche nella scelta di giocare oggi, su altre piazze della pallapugno. Davide, la sicurezza, la severità, lo scopritore. E se Ranoisio viene spesso letto come potenza e forza, qui ha dovuto dare prova di maturità: serve precisione, ecco, serve la visione del gioco del pallonetto, in cui i tre liguri sono eccellenti. L’abitudine alla strada, al caruggio.

Da qui nasce una vittoria soffertissima come sempre sofferte sono le partite ad Apricale. 13-12. Nessun ulteriore commento. Sportività al massimo, ma sicuramente non se la sono mandata a dire. Però alla fine immaginiamo la felicità del vulcanico ed appassionato sindaco Silvano Pisano, anfitrione del torneo, sempre e comunque. Un’altra bella cartolina per Apricale, munta e cara, Sali e scendi. È così, è la Liguria, è la sintesi dell’esistenza faticosa e ribelle alla Natura dei ragazzi di Liguria. E alla sera, la piazza di Apricale offre il suo colpo d’occhio d’altri tempi: 80 persone che celebrano il rito pagano della pallapugno nella condivisione della cena. Là, dove si incontrano i destini, le passioni, la forza di un luogo ammaliante e dove i Liguri lasciano il segno.