Da ieri sui social network circola la foto di due signori mezza età, sorridenti come bambini, in mezzo ad un campo di calcio: sono Alessandro Lamonica e Clarence Seedorf. Ospiti d’onore alla parata del Ferraris per celebrare Sven Goran Eriksson, il grande allenatore svedese che, lo scorso gennaio, ha scoperto di convivere con un cancro incurabile al pancreas. Ha deciso di rendere pubblica la sua battaglia personale e sta passando in rassegna stadi e tifoserie che, per anni, lo hanno acclamato.

Ieri è stato il turno della Sampdoria dove Eriksson ha allenato tra il 1992 ed il 1997, vincendo anche una Coppa Italia. Sotto la sua guida ha giocato anche l’imperiese Alessandro Lamonica che – con i vari Mancini, Seedorf, Evani, Chiesa e Salsano (altro ex neroazzurro a fine carriera) – era tra i ventidue blucerchiati che, al Ferraris, hanno omaggiato Svennis.

“Quando sei lì, ti sembra sempre di non essere mai andato via: parli delle solite cavolate, di quello che facevamo all’epoca come dei compagni di scuola che si rivedono dopo vent’anni. Ma mai di calcio o delle vite private” racconta ‘Lamo’ “Ci hanno radunato nella sala stampa prima della partita dove ci hanno omaggiato della maglia e della sciarpa, prima di accogliere Eriksson sul campo e accomodarci poi in tribuna.”

“Il mister è ancora lucido: si ricordava di ognuno. Certo ci siamo dovuti presentare ma d’altronde inizialmente avevamo dei dubbi anche tra noi nel riconoscerci” scherza Lamonica “Seedorf e Laigle non li avevo più visti, Mancini lo avevo incontrato qualche anno fa mentre con altri (soprattutto i coetanei) ci sentiamo più spesso, come Bellucci e Sacchetti. Ognuno ormai ha la sua vita. Sono cose belle che ti rimangono nel cuore. Da allenatore, Eriksson era educato, anche troppo, un vero signore ma allo stesso tempo nordico e ‘perfettino’, completamente l’opposto di Menotti” già perché Lamonica era nella rosa del ‘Flaco’ argentino che, proprio ieri sera, è venuto a mancare all’età di 85 anni.

Campione del Mondo con la Albiceleste nel 1978 poi allenatore di Maradona e per cinque mesi, nel 1997, alla guida della Samp quando il centrale onegliese rientrò dal prestito al Venezia: “Era il classico sudamericano col quale scherzavamo molto e un po’ sciamannato. Aveva una idea di calcio, allora inattuabile in Italia. Tanto palleggio e possesso, un gioco molto tecnico e lento, molto più simile a quello attuale. Quell’anno giocai soltanto una volta perché ero di rientro dalla rottura del ginocchio, in panchina c’era già Boskov. Le cose non andavano benissimo, la piazza mugugnava e per dare una scossa la società lo cambiò con l’allenatore dello scudetto. Ma se il campionato fosse stato un po’ più lungo, non so come sarebbe finita”

Ma a proposito di gioco, come era Eriksson? “Moderno. Portò avanti la filosofia innovativa di quegli anni, già cominciata con Sacchi, però in maniera meno esasperata. Utilizzò la marcatura a zona, erano i primi anni, mentre la maggioranza giocava a uomo, per dire. E poi ha vinto molto. – prosegue – Ha avuto l’intelligenza di affidarsi ai campioni ma sempre con educazione. Non era il classico padre padrone che faceva tutto lui, a cominciare dalla formazione ma si fidava di quelli che potevano fare la differenza, infatti alla Lazio portò con sé Mancini, Sinisa e Veron, portando avanti comunque le sue idee.”

Nomi che hanno fatto la storia del calcio. I mezzibusti che ogni bambino (e non solo) desidera trovare nei pacchetti di figurine per svoltare la giornata: “Io ero nella figurina della squadra nella stagione 1995-96 ma… – ‘Lamo’ prende fiato e trattiene la risata  – non sono io! Il giorno prestabilito per scattare la foto di squadra ero a fare la visita per il militare, così misero, al mio posto, un magazziniere pelato come me. Solo che si dimenticarono di modificare poi la figurina.” Nell’album Panini ci finirà qualche stagione dopo, in compagnia di Zizzì Roberts con la maglia del Ravenna in Serie B.

Come arrivò fino a lì il difensore centrale? Quella di Lamonica è la classica storia del ragazzo di provincia che ce l’ha fatta: “Ho sempre giocato nell’ Imperia perché abitavo sopra al ‘Ciccione’. Da bambino andavo a vedere gli allenamenti dei neroazzurri dentro al campo poi a quindici anni sono andato alla Samp.” E oggi? “E’ tutto diverso, guardo poche partite. Mi piace vederle dal vivo per l’atmosfera che si crea più che per la sfida. Avevo provato ad allenare le giovanili appena smesso, in Toscana, però ho resistito soltanto un anno e mezzo: non mi piacevano alcune dinamiche come il rapporto coi genitori. Troppo lontani dai valori che mi hanno insegnato e avrei voluto trasmettere. Oggi sono un private banker per Mediolanum: attività che ho intrapreso 19 anni fa, alle soglie di fine carriera.”

Però, prima di chiudere la chiacchierata, ‘Lamo’ si vuole togliere un sassolino dalla scarpetta chiodata: “Dicono che noi andavamo piano ma vi pare che ora vadano forte? Fanno più passaggi indietro che avanti e i difensori non sudano nemmeno.”