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Proseguono le lezioni ‘du nosciu dialettu’, appuntamento fisso per chi vuole riscoprire le radici linguistiche e culturali del nostro territorio. Ai nostri microfoni Giannetto Novaro, castellotto doc e memoria vivente di un mondo che sembra lontanissimo, ma che rivive nei suoni, nei proverbi e nelle immagini evocate da una lingua capace di raccontare la vita nei campi, i ritmi della natura, la saggezza popolare.

Protagonista di oggi è: ‘Andôsene in tamburli e sciguélli‘, ovvero ‘andarsene in tamburelli e fischietti’.

‘Andôsene in tamburli e sciguélli’

“Un tempo, le fiere erano tra le rare occasioni per passare una giornata diversa e si attendevano da un anno all’altro. Si potevano acquistare cose fuori dall’ordinario, animali, utensili… e per i bambini, zucchero filato, tamburelli e fischietti“, racconta Novaro. “Le fiere si svolgevano spesso presso un santuario. Un esempio locale è il Santuario di Nostra Signora della Rovere a San Bartolomeo al Mare. La gente le aspettava con ansia: non c’erano supermercati, le strade erano in pessime condizioni, pochi avevano un mezzo di trasporto. Spesso si andava a piedi, anche per chilometri”.

“Quelle fiere erano un’occasione per conoscere cose nuove, per acquistare ciò che normalmente non si trovava. Però, al ritorno, si doveva anche pensare ai bambini più piccoli rimasti a casa, che aspettavano un regalo. I regali di allora erano semplici: bastava un tamburello o un fischietto per renderli felici. Ma, se uno tornava a casa solo con quello, qualcuno poteva pensare: ‘Tutta quella strada, tutto quel tempo… e alla fine solo un tamburello o un fischietto?'”, spiega. “Ecco, il proverbio è una critica a chi si reca a una fiera e si limita a comprare cose futili, dimenticando ciò che davvero conta“.

Il proverbio affonda le radici nella vita quotidiana del passato: le fiere rappresentavano occasioni di scambio e scoperta. 

La spiegazione integrale di Giannetto Novaro nel video-servizio a inizio articolo.