‘A l’è a Fôa du Bestèntu ch’a düa tüttu u tèmpu, ti vöi ch’a ta cunte?’– È la favola del Bestèntu che dura tutto il tempo, vuoi che te la racconti?”
‘A Fôa du Bestèntu‘, la favola del Bestèntu, è la protagonista di oggi delle lezioni ‘du nosciu dialettu‘, l’appuntamento fisso per chi desidera riscoprire le radici linguistiche e culturali del Ponente ligure. A guidare il viaggio tra proverbi, parole e modi di dire della tradizione è, come sempre, Giannetto Novaro, castellotto doc e memoria vivente di un mondo che sembra lontano ma che continua a rivivere nei suoni, nelle immagini e nella saggezza di una lingua capace di raccontare la vita nei campi, i ritmi della natura e la quotidianità dei nostri avi.
‘A Fôa du Bestèntu‘: la spiegazione di Giannetto Novaro
“‘A Fôa du Bestèntu’— ovvero la favola del ‘Bestèntu’ — è una filastrocca antichissima, tramandata oralmente di generazione in generazione. Veniva utilizzata dalle nonne per intrattenere i bambini nei giorni di pioggia, al tempo non c’erano telefonini né televisione”, ha spiegato ai nostri microfoni Giannetto Novaro.
‘A l’è a Fôa du Bestèntu ch’a düa tüttu u tèmpu, ti vöi ch’a ta cunte?‘- È la favola del Bestèntu che dura tutto il tempo, vuoi che te la racconti? Con queste parole iniziava un gioco senza fine: una filastrocca composta da tre versi che creano una sorta di domanda-tranello. Qualunque fosse la risposta del bambino, la favola ricominciava sempre da capo, in un ciclo infinito di rime e risate.
“Era un modo per far passare il tempo ai più piccoli, ma anche per tenere viva la lingua e la fantasia. Oggi, nel linguaggio degli adulti, dire ‘A Fôa du Bestèntu‘ significa qualcosa che non arriva mai a conclusione, qualcosa che resta sempre in sospeso, in costruzione, senza mai finire”, ha raccontato.
Nel video-servizio a inizio articolo la spiegazione integrale di Giannetto Novaro.