video
play-rounded-outline
02:59

Dal primo febbraio il green pass base, quello ottenibile con vaccinazione, guarigione o tampone negativo, è obbligatorio anche per accedere ai negozi di abbigliamento.

Un ‘peso’ in più sulle spalle dei commercianti che già, causa pandemia, non attraversano momenti troppo felici. Risulta dunque lecito chiedersi l’utilità o meno della misura soprattutto alla luce del fatto che, per i negozi, il controllo può essere fatto a campione. Ciò significa che non tutti coloro che accedono ai locali devono essere obbligatoriamente controllati e che risulta dunque complicato motivare eventuali sanzioni.

In seconda battuta è aperto l’interrogativo sulla bontà sanitaria del provvedimento e, soprattutto, sulle sue tempistiche. L’introduzione è infatti concisa, o quasi, con il cosiddetto plateau dei contagi covid-19, non durante né prima del picco epidemico.

Per capire come stiano andando i controlli e in generale tentare di fare chiarezza abbiamo intervistato Marco Pastore presidente provinciale di Federmoda.

“I controlli stanno andando abbastanza bene – dice. Le persone erano già consapevoli e preparate, molte mostrano il green pass entrando o altrimenti gentilmente si chiede. Diciamo che il green pass base va a recepire quasi la totalità dell’utenza perché chi lavora, anche se non vaccinato, il tampone lo deve fare. Non ci sono dunque grandi problemi. Per le piccole realtà dei negozi di vicinato non riscontriamo particolari criticità. Personalmente finora mi è capitata soltanto una persona senza la carta verde”.

Sull’utilità della misura e sulle tempistiche Pastore concorda con chi la ritiene tardiva: “Condivido questa riflessione. Indubbiamente farlo prima, quando la curva dei contagi saliva con maggiore rapidità e non avevamo ancora obbligo vaccinale per gli over 50, avrebbe avuto più senso”.