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Quella di Alessandro Arangio Febbo è una storia affascinante che dal piccolo paese di Santo Stefano al Mare giunge fino all’Estremo Oriente tra arti marziali e spiritualità.

L’affascinante cultura asiatica ha da sempre attirato il mondo occidentale. Il Giappone, in particolare, è un orizzonte lontano che nei secoli ha saputo mantenersi e rinnovarsi creando un mix di tradizioni antichissime e nuove influenze che spesso ci sembrano stravaganti.

Negli ultimi anni i film di Bruce Lee, i manga e gli anime, il sushi e i ristoranti cinesi ci hanno dato solo un assaggio di quel mondo. Ma quella del Sol Levante rimane per lo più una cultura sconosciuta.

Alessandro è nato e cresciuto in Provincia di Imperia, ma fin da giovanissimo ha subito l’influenza dell’oriente; dapprima praticando il judo e poi, a 14 anni, il karate: la sua grande passione.

“Non contento, perché in Italia era uno stile prettamente sportivo, sono andato alla ricerca delle origini,” racconta.

Da 12 anni vive in Giappone a Okinawa, dove ha aperto un ‘dojo’ (palestra) in cui insegna karate e wing chun kung fu, una disciplina imparata durante i suoi frequenti viaggi in Cina e Hong Kong.

“Sono partito un po’ contro tutti. Mi dicevano che non era possibile andare senza lettera di presentazione a Okinawa, che ormai i maestri di una volta non c’erano più.”

Nonostante sia stato accolto a braccia aperte, Alessandro ammette che “un conto è andare in vacanza. Un conto fermarsi ed aprire un dojo”.

Il fatto che un occidentale insegni karate nel luogo natale di questa disciplina è stato visto con sospetto da alcuni maestri locali. Tuttavia, il grande coraggio e la determinazione di Alessandro gli hanno permesso di inserirsi e integrarsi perfettamente.

Le differenze di insegnamento tra il Giappone e l’Occidente sono notevoli. Ciò che manca è soprattutto il condizionamento fisico: una pratica molto dura per temprare il corpo sviluppando resistenza ai colpi.

Da anni sto cercando di far capire a tutti che il karate è questo. Non un toccare e via. Non è la gara. È una cosa vera.”

Alessandro spiega che le arti marziali nascono come difesa personale e solo in Occidente si sono trasformate in uno sport.

“La realtà – spiega – è ben diversa. Io mi posso difendere, ma lui mi può attaccare. Posso parare, posso schivare il colpo, ma se non riesco mi arriva e, in quel caso devo essere condizionato. Il dolore si sente sempre a mio avviso, ma con il tempo si impara a sopportarlo.”